Una moto per Blue #3


Ci risiamo. Ogni tre o quattro anni, mi prende la necessità di cambiare moto. Di avere una moto diversa da quella che ho. Non è consumismo, o almeno mi convinco che non lo sia: è che ho davvero bisogno di una moto nuova.
Potendo, riscriverei tutta la storia delle moto che ho avuto, fin dalla primissima. Fin dal cinquantino. Incontentabile? Sfortunato? È che, per parafrasare il sergente Lorusso, una moto sola non mi basta, una moto sola è troppo poco...
Che poi, fosse per me, la moto non avrei neanche la necessità di possederla. La moto io ho la necessità di usarla. Potessi usarne una diversa ogni sei mesi e poi renderla, lo farei volentieri. Non sono un collezionista, sono un motociclista.
Delle automobili, che mi piacciono solo per quel che servono, sono sempre stato soddisfatto. Ogni auto che ho posseduto, e posseggo, per necessità, ha svolto il suo lavoro a dovere, ed è stata sostituita solo raggiunto il ragionevole momento per farlo. Oggi posseggo una Jeep Renegade, e mi trovo benissimo. Dovessi deciderlo ora, quando sarà il momento la cambierei con un’altra Renegade, magari modificando solo il colore.

Ma con la moto è sempre stato un altro paio di maniche. La mia moto ideale non la produce nessuno. Non che io chieda molto: una moto furba, bella, con la forma di una moto, adatta per il breve ma anche per il lungo raggio, capace di portare passeggero e valige. Divertente ma comoda. Con una tonnellata di fascino, rombo compreso.
La moto che comprerei oggi è una Moto Guzzi (il V non è semplicemente un motore, è un cuore che pulsa) V85 Strada: una moto bella, della misura giusta, agile, comoda, confortevole, con fascino da vendere. Una moto che ti pulsa sotto il sedere e fra le braccia, che di moto ha il profumo ed il suono. Con cui andare al lavoro, andare in gita fuoriporta, ed andare anche in vacanza.
Qual è dunque il problema? Che la V85 Strada non esiste.


Moto Guzzi una stradale non ce l’ha in catalogo ormai da una decade. C’era la Breva, una moto di fascino, ma con le sue stranezze. Per qualche motivo bizzarro, ci avevano montato il manubrio di uno scooter. Il manubrio da moto lo aveva il modello Sport (o come si chiamava), ma era tanto basso da farti appoggiare la pancia sul serbatoio. Insomma, di un manubrio “giusto” neanche a parlarne. È anche il dettaglio a condizionare il successo o l’insuccesso di un modello..
La Guzzi Griso a fascino e motore non era seconda a nessuno. Ci hanno messo due o tre modelli ad aggiustare il tiro, perché sul primo eri piegato in avanti a braccia larghe, che non si capiva se il collaudatore l’avesse provata o no prima che lo mettessero sul mercato. Ma la Griso era comunque un modello da single, senza borse e senza passeggero, e costava come un’utilitaria, il che la relegava a una nicchia di mercato (anche se oggi tutte le cosiddette “Modern Classic” sono progettate, inspiegabilmente, con quella filosofia).

Possedevo una roadster, la BMW R1200 R, che era ancora il modello bello, prima del design jappo che hanno adottato adesso (per tacere degli attuali colori verde o marrone, molto tedeschi). Era una moto intelligente, ma aveva due difetti, che chilometro dopo chilometro mi sono divenuti odiosi. Uno: il rapporto sbagliato (rispetto alla sorella GS) del cardano, troppo lungo, che provocava lo spegnimento quando il motore ronfava a basso regime. Una moto che si spegne ti diventa antipatica. Il secondo difetto, a mio vedere, era il telelever, quell’accrocchio al posto della sospensione anteriore che rende la guida un po’ automobilistica, facendoti rinunciare al feeling con la ruota davanti. Non è un problema di sicurezza, anzi!, ma di divertimento.
L’ho venduta di getto, senza ragionare - come avviene praticamente ogni volta che un motociclista entra dal concessionario ad acquistare una moto nuova. Triumph aveva aggiornato la Scrambler, e vendeva per l’ultima volta il modello classico (il MY 2016): la moto di Steve McQueen, che avevo sempre desiderato, e che col senno di poi avrebbe dovuto essere la mia prima maxi moto. Entrai, misi una mano sul serbatoio bianco e rosso e dissi “mia!”. In sei giorni fu davvero mia, e il venditore ci fece un affare ritirando una roadster Classic full optional con la striscia bianca sul serbatoio, pagata 17K euri tre anni prima.

Non solo avevo sempre desiderato “possedere” la scrambler, ma avevo letto I Diari della Motocicletta, e volevo dimostrare che un motociclista vero con una scrambler, volendo ci poteva fare anche il giro del mondo. Nei primi mese fu una luna di miele: agile come una bicicletta, bella come nessun’altra, vivevo fra la Val Trebbia e la Val Luretta e la scrambler era pressoché perfetta per esplorare sentieri e strade bianche. Ma in viaggio, si doveva dimostrare un’altra cosa. Dopo mezza giornata le sospensioni ti fanno ululare come un mannaro, e di portare un passeggero te lo sogni: sei sempre a pacco, e il passeggero non ti rivolgerà più la parola.
In autostrada è una penitenza: per quanto avessi fatto voto di non muovermi mai in moto su un’autostrada, se ti piacciono i viaggi è impossibile evitarlo. Semplicemente non puoi sprecare tutto il tempo a disposizione all’avvicinamento (ed al ritorno). Non c’è voluto molto prima che rimpiangessi i ritorni dal mare con la BMW, quando a 130 km/h a pieno carico mi pareva di essere in poltrona.


Dunque? Potreste obbiettare: Se Guzzi non ti accontenta, torna alla BMW. Che purtroppo nel frattempo è cambiata. È vero che la R non ha più il telelever e non si spegne più al minimo. Ma ha mille cavalli, che sa dio a chi servono, e una linea che puoi scambiarla per una Suzuki. L’ultimo modello poi, che ho guidato abbastanza a lungo (amo guidare ogni moto) ha una caratteristica curiosa. Ogni volta che sali o scendi più o meno ai 4000 giri, il motore fa come uno scampanellio. Ha qualche cosa a che fare con la fasatura variabile. Praticamente scampanella due volte al minuto, e anche più spesso. Anche no, grazie. E a guidarla non mi prende, non mi dice nulla.
Tutto al contrario di sua sorella la NineT. Che è bellissima, ha ancora il motore ad aria, tutta la potenza che ci vuole e finalmente i rapporti giusti. Guidarla è semplicemente entusiasmante, ed il modello Pure NineT, il più maschio, ha anche il prezzo più accessibile di tutta la gamma boxer.
Ma è irrimediabilmente una moto da bar, con una sella da single e nessuno spazio per le valige. Il che la mette fuori dai giochi.


Moto Guzzi produce anche una V7 di successo. Ho inforcato l’allestimento Rough fermo in garage, e non si può negare che abbia fascino. La sella è spaziosa, ma le sospensioni sono deboli come quelle della scrambler, ed il motore è il 750 cc da 52 CV. Non ci viaggi con cinquanta cavalli, e sono stufo di sentire ogni buca con la schiena.
Della stessa categoria della V7 è la Triumph Bonneville. In qualche modo ne ho avute un paio, e quando ami una Bonnie la ami per sempre. Ma ancora una volta il comparto sospensioni non è all’altezza, ed il motore, per qualche scelta stramba per marketing, è un po’ troppo sedato. È un peccato, perché non solo il 1200 della Speed Twin (magnifica), ma persino il 900 cc della Street Twin sono davvero vivaci. Ancora una volta, parliamo di moto progettate per il pilota “solista”.


Una moto che non vedo l’ora di provare è la Moto Morini Milano. È semplicemente la moto stradale più bella del mercato, sempre che esista davvero. È una moto virile, che fa a meno dell'elettronica. Ma ha solo un allestimento con la sella sportiva. Costa quel che costa e non ci puoi andare al mare. Alla Morini, non avrebbero potuto immaginarne una versione “strada” ed una “sport”?

A essere sinceri, “Classic Bike” disegnate per un pilota ed un passeggero esistono, e sono anche moto estremamente affidabili. Sono le giapponesi.
Una è la Kawasaki Z900 RS. Una moto con una linea anni ruggenti. Un po’ troppo vivace. Un po’ troppo panciuta. Non è scattato il desiderio, mi spiace.
L’altra è la Honda CB1100 EX, la nipotina della più mitica delle moto stradali moderne, la CB750 Four. Anche se Honda Italia non le ha mai dato la minima fiducia, né ci ha speso il minimo sforzo per venderla, modello dopo modello si è fatta sempre più bella. Anche se è un po’ troppa, come quelle donne belle, ma obiettivamente taglia forte. Il motore, lucido e raffreddato ad aria, è voluminoso. Le dimensioni della moto, anche. Il prezzo, altrettanto. Disegnata attorno ad un motore da 900 cc, probabilmente sarebbe stata perfetta. Ma anche così, è innegabile che il nuovo modello sia davvero bello. Un pensiero ci si potrebbe fare.
L’inconveniente, caso mai, è che un modello in Italia di così scarso successo di mercato tiene certamente male l’usato, a fronte di un prezzo chiavi in mano non a buon mercato. Si potrebbe fare di necessità virtù, approfittando proprio della scarsa tenuta dell’usato; una CB con meno di diecimila chilometri si trova a meno di cinquemila euro. Non è l’ultimo modello, ma l’idea non è peregrina. E pazienza se lo spazio borse è quello che è.



Il fatto è che per chi viaggia, il mercato sembra mettere a disposizione solo CrossOver, l’equivalente (intelligente) dei SUV e mini SUV a quattro ruote. A rinunciare alla stradale da giubbotto di pelle, la scelta è infinita. Per esempio la Guzzi V85 TT, che sembra nata per viaggiare. La nuova Suzuki V-Strom, che nei colori giallo o rosso è davvero bella.
Per i fuoristradisti, KTM 790 Adventure e Husqvarna Norden (solo annunciata), o persino la Ténéré nell’allestimento touring, mentre della Honda Africa Twin si parla sempre con più insistenza di una “piccola” (cioè “giusta”), che forse chiameranno TransAlp.

Insomma, la scelta più ragionevole per chi compra moto è la enduro stradale, un po’ tassellata. Una moto da godersi a 360 gradi. Ma cosa posso farci, se io amo il giubbotto di pelle?

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