Polvere (e l'Endurista Piemontese)


Un sabato di primavera, solitario, a disposizione, una moto nuova. Ho in progetto la strada della Forra, ma decido che è meglio riservarla per un giorno feriale: il lago di Garda nel weekend è decisamente sconsigliato. Suppongo vagamente che raggiungerò il mare, ma la prima tappa è in paese per un caffè. C’è qualche cosa di gioioso nel paese del primo mattino assolato di un giorno di festa.
È proprio al bar che incontro il mitico Endurista Piemontese. Che fra un caffè ed un cornetto mi propone un giretto locale, per le strade bianche delle colline: non hai bisogno di raggiungere la strada dell’Eroica in Chianti se vivi in Valtrebbia. L’Endurista è nato su due ruote e ha imparato ad andare in moto ancora prima di gattonare. Farsi coinvolgere da lui da un percorso sterrato significa lacrime e sangue.
«Una strada facile, un giro turistico?»
«Una strada facile». 
Ingenuo me, cosa può mai significare facile per un motociclista capace di fare i tornanti senza mettere le mani sul manubrio? E così eccomi convinto ad andare per strade bianche con la mia Triumph Scrambler di ghisa. A che mi servirebbero altrimenti le gomme artigliate?


Nell’aria profumata del primo mattino tutto sembra promettere il meglio. Saliamo a Momeliano, assaggiamo il primo sterrato sassoso (sassi a mucchi buttati senza risparmio, in realtà) fino al castello di Rezzanello, troviamo una traversa verso la dolce Val Luretta, saliamo fino a San Gabriele dove quasi in cresta inizia una bella strada bianca lunga qualche chilometro. La moto sembra galleggiare sui sassi, il retrotreno scodinzola leggero, è vietato toccare il freno davanti e anche distrarsi, ché le cose accadono alla svelta. Nell’erba a fianco della strada corrono i daini, ed anche i caprioli. Belli da vedere, fatali se ti centrano; attraversano all’improvviso e senza concedere la precedenza. E puntualmente due daini passano fra la mia moto e la sua; io li ho visti arrivare, l’Endurista no, tira dritto ignaro dello scampato pericolo.
Anche l’asfalto non è una passeggiata, tutto buche, dossi, rappezzi e coperto di viscido brecciolino. L’Endurista è sempre almeno venti metri avanti a me, elegante e composto sulle due ruote come un maestro sugli sci. Quando apre il gas scompare senza fatica oltre l’orizzonte. Non cerco di stargli attaccato, il mio ritmo è più lento ed è importante non forzare le proprie capacità perché su questi fondi è un attimo mettersi nei guai. Non sai mai quanto il pavimento di una curva sarà ondulato, e sulle buche le sospensioni soffrono (anche se la moto non si scompone). Nelle occasioni in cui il capo cordata si lascia raggiungere, lascia cadere un braccio disteso lungo il fianco, come uno spadaccino che per la facilità del gioco schermi con la sinistra. Quando arriviamo allo sterrato aspetto di proposito che si allontani, per non mangiare la polvere e per evitare i sassi sparati dalla sua gomma posteriore.


Ci ritroviamo sulla Pietra Parcellara, le Dolomiti della Valtrebbia, e la aggiriamo su una discesa di sassi, che ad un certo punto diventano pietre. Devo rifornirmi di benzina a Travo, perché l’autonomia del mio serbatoio non concede molto più di 220 chilometri, e mi è difficile far rifornimento per tempo perché le esigenze della moda vintage mi negano l’indicatore della benzina.
Le gioie della moto spartana: devo far conto sul contachilometri parziale.
Quando ripartiamo, l’Endurista decide che mi ha assecondato abbastanza. Per riportarci in quota imbocca una di quelle mulattiere con i solchi sui lati e i ciuffi d’erba nel mezzo. È ripida e si fa ancora più ripida, mentre i sassi lasciano posto alle pietre. Pilota la sua R100 GS come fosse una monocilindrica da cross, mentre io faccio del mio meglio per non perdere troppa velocità, perché in salita i sassi fanno perdere presa sul terreno, mentre l’avantreno saltella sugli ostacoli. La scrambler è una fuoriclasse, ma pesa due quintali e mezzo e i tornanti in salita mi danno filo da torcere. Ad ogni bivio la mia guida mi aspetta per mostrarmi la via, ma ogni volta riparte prima che io arrivi abbastanza a portata di voce da poterlo insultare.


Ad uno slargo lo vedo fermo a motore spento. Ci sono due cinghiali e vengono verso di noi. Quando sei con l'Endurista Piemontese devi essere pronto a tutto, ma cinghiali che si fanno incontro scodinzolando non mi erano ancora capitati. Sono due giovani fratelli e forse elemosinano un po’ di cibo. Saltellano come cagnolini, poi perdono l’interesse e se ne vanno. Un incontro ravvicinato che giustifica la fatica di portare su una pista da enduro una bicilindrica da 900 cc.


Tornati all’altezza della Parcellara, prendiamo una strada bianca segnata dalla freccia Pecorara. Non è un vero sterrato ma una ex strada asfaltata ormai distrutta; oltre ai sassi ed alle buche bisogna fare i conti con i fantasmi delle lastre di asfalto che affiorano a tratti, duri come pietra e coperti di sabbia. Quando raggiungiamo la strada per il Passo del Penice, la provinciale mi fa l’effetto di un’autostrada. Scendiamo per una strada disastrata verso Mezzano Scotti a fianco della SS45 e ci apprestiamo al rientro. Mi accorgo di essere stanco al punto che mi fanno male le braccia. Di regola nei giri in moto non mi attardo con il pranzo per più di un panino al salame (o una focaccia nel caso mi trovi il Liguria), ma questa volta ci concediamo un tavolo da Costa Filietto per un piatto di tortelli al burro.


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