Fuga di mezzanotte


Mi sveglio alle 6:30, solo, di domenica, in un albergo di Pinzolo, nel Trentino. Ha piovuto a catinelle per tutta la notte, ma in questo momento Giove Pluvio da tregua. Il cielo è bigio e la strada fradicia di pioggia. Di proseguire il viaggio direi che non se ne parla. Faccio un rapido inventario: tuta da pioggia naturalmente niente, perché sono partito con il bel tempo e non imparerò mai ad essere previdente. Il caricabatterie inaugurato ieri sera non mi ha caricato il telefono, che non si accende: nessuna possibilità di comunicazione e niente previsioni del tempo per la giornata. Le gomme hanno ormai novemila chilometri. Quasi ora di cambiarle, e tenuta sul bagnato, dubbia.
Rapporto: la situazione è meno che ottimale.

Per una sorta di tradizione non dichiarata, il week-end attorno al 20 agosto pare da anni ormai essere dedicato ad un mio viaggio in moto in solitaria. Niente di voluto o di cercato: semplicemente al lunedì iniziano le vacanze con mia figlia, ed il fine settimana precedente mi trovo sempre solo e con nulla da fare, mentre i miei amici motociclisti sembrano essere tutti al mare con la famiglia. 

Ieri, sabato, mattina, splendeva il sole. Ho caricato un paio di borse sulla moto e sono partito. L’unico problema, è che dopo aver preso la provinciale, ancora non avevo un’idea di dove mi sarei diretto. 
La mitica Route des Grandes Alpes mi sembrava troppo lontana, cercavo un giretto più riposante. E poi ci sono stato almeno quattro volte nell’ultimo anno. Ci sarebbe il Grossglockner in Austria, ma avrei preferito farlo in compagnia. Ed allora i laghi: il lago Maggiore, per esempio, nella sua parte settentrionale, fra Cannobbio, Locarno in Svizzera, e Luino, ha sempre il suo fascino. 
Ma soprappensiero invece che ad occidente mi dirigo ad oriente: perché non il lago di Garda, dunque, con l’affascinante SS45 bis, che lo percorre lungo la costa lombarda, fra Gardone, Limone e Riva, una strada sinuosa d’altri tempi fra minuscole gallerie dai nomi di favola?

Il tempo è bello, l’aria profumata, mi dirigo dalla Val Trebbia verso Cremona e da lì verso Brescia, su una statale senza proprio nulla di interessante, attraverso paesi anonimi di pendolari lombardi.
Brescia è sempre un incubo, con il suo traffico e le sue tangenziali intracciate. Decido piuttosto di attraversarla all’interno, da sud a nord. Per strada non c’è nessuno, e arrivo rapidamente alla strada per la Val Trompia (che mi evoca sempre i Cochi e Renato televisivi de Il poeta e il contadino, testimonianza di un televisione di un’altra categoria). 
Al bivio per il lago di Idro prendo per le curve in salita, fino ai tornanti frequentati da motociclisti in tuta di pelle e moto carenata.
Un secondo bivio mi porta sulla SS 45 bis, in discesa verso Salò ed il lago di Garda. E qui si materializza dal nulla il traffico di una infinita colonna di auto praticamente ferme, a memento che il lago di Garda in un fine settimana di Agosto non è una scelta troppo furba. Approfitto delle due ruote per uno stressante passaggio a fianco della coda. Una manovra non scevra di pericoli, perché può capitare che un automobilista stressato decida all’improvviso di effettuare una rabbiosa inversione di marcia, senza mettere la freccia e senza controllare negli specchietti. Quando si è in coda non ci si aspetta di essere sorpassati da qualcuno. 
Finalmente a Gardone, dopo il Vittoriale, il traffico comincia a farsi più scorrevole, fino a farsi addirittura rado verso nord.

Questa strada lungo il lago è meravigliosa, tutta curve e vista mozzafiato sullo specchio d'aqua, a patto di percorrerla con tranquillità. E di non incontrare un camper da sorpassare, giacché di rettilinei non ce n’è e sorpassare in galleria è proibito e molto pericoloso (andrebbe ricordato a tutti i centauri a cui l’ho visto fare ieri). Alla fine arrivo a Limone giusto in tempo per l’hot dog (qui sono tutti tedeschi) e poco dopo alla sempre bella Riva del Garda, che chiude il lungolago.

Tornare dal versante orientale non vale la pena, perché non è di nessuna bellezza. La scelta più appropriata a questo punto sarebbe puntare a Trento, e poi Bolzano lungo la weinstraße e infine Merano. Invece mi arrampico verso il laghetto di Ledro, delizioso a 800 metri slm, per una circunnavigazione tranquilla e poi mi corico sull’erba della spiaggia per una pennica: la dolce vita.
Dopo uno strudel sul lago e una puntata nei dintorni, come la deliziosa val Concei, scendo verso il lago d’Idro. Ho un’idea vaga di dirigermi verso il passo dello Stelvio, l’unico che, per un motivo o per l’altro, ancora non sono riuscito a fare. Il tragitto potrebbe essere più o meno quello di proseguire per Madonna di Campiglio, deviare per Merano, la bella Glorenza in Val Venosta, entrare in Svizzera, fare in qualche modo i passi dello Stelvio e del Bernina, quale sia l’ordine con cui si presentano, e magari attraverso l’Engadina, il paradiso del motociclista, tornare in Italia dal Maloia ed il lago di Como. 
Un viaggio che avevo compiuto anni fa in senso opposto, persino troppo bello per percorrerlo in solitaria.
Intanto si fa sera, arrivo a Pinzolo, trovo ospitalità all’Hotel Dolomiti, e cerco un pub per una birra. E succede l’unica cosa che non mi era venuta in mente di verificare: si mette a piovere.

Dunque sei e mezza del mattino, ormai quasi sette. Niente telefono, nuvole basse e minacciose, organizzazione zero. Carico la moto mentre il portiere di notte si sveglia, asciugo la sella con una salvietta del bagno, metto in moto e parto senza colazione. 
Direzione: la pianura padana.
Anche una strada poco interessante come quella di Madonna di Campiglio, alle sette di una domenica mattina livida e deserta, con la nebbiolina e le nuvole basse che coprono le montagne, ha un suo fascino. La strada è tutta mia: non c’è un’auto, non c’è una moto. Neppure uno di quei motociclisti sportivi carenati che ti fanno il pelo mentre cercano il limite oltre cui farsi del male. È una fuga, ma ricca di poesia. Fatico un po’ a rallentare attraversando i paesi deserti, ma non si sa mai che uno dei tanti cilindri arancioni a bordo strada contenga davvero una macchina fotografica.

È un incanto che dura fino a quando si entra nel bresciano, al lago d’Idro. Qui incrocio una specie di gara di macchine sportive d’epoca, mentre per scarsa conoscenza della strada invece che in Val Trompia finisco lungo le grigie tangenziali fra il lago e la città. Una spruzzata di pioggia leggera e i sei chilometri di autostrada necessari per immettermi nella A21, poi di nuovo fuori al primo casello. Noiosi rettilinei di pianura, ma almeno non è autostrada.

Alle nove sto prendendo cappuccio e brioche sotto il torrazzo nella bella piazza di Cremona. È ancora mattina presto ma il mio viaggio è già finito. Così la tiro talmente in lungo per le valli piacentine che per arrivare in Val Trebbia ci metto altre due ore. Anche questa volta non sono riuscito a vedere lo Stelvio, ma per com’ero organizzato non mi posso lamentare, sono stato fortunato.


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