Suzie Q (BMW R1200 Roadster)


La moto non ti tradisce. Che poi non è vero, ti tradisce anche lei, ma meno, molto meno di una donna. Oggi, 22 dicembre, in una rigida giornata d'inverno, ero in giro con la mia R1200 Roadster Classic. Non è stato amore a prima vista, io e lei. È stato piuttosto un lungo annusarsi, provarsi e girarsi attorno. L'ho portata in giro per mezza Italia per due anni, e devo ammettere che è sempre andata migliorando. Il problema principale credo nasca dal fatto che non mi sono mai sentito attirato da una BMW. Non indosserei una maglia con la scritta BMW, non mi sento parte del marchio come mi sono sentito di tanti altri. Primo fra tutti Moto Guzzi, di cui indosso maglie, maglioni e giubbotti. Un bicilindrico pressoché perfetto il V della Guzzi, che nei confronti del Boxer della BMW è un po' come il derby inter / milan. La mia prima moto, il cinquantino, fu una Guzzi. O meglio, un Guzzi Dingo Cross giallo. Fu in effetti per caso: il concessionario Guzzi era proprio sotto casa, e da mesi stavo facendo pressing su mio padre per ottenere il mitico cinquanta, che ai miei tempi era una tappa fondamentale della crescita. Il Dingo aveva una linea carina ma era per molti versi inferiore agli altri motorini del 1973. Gli avrei preferito un gilerino beige, e mio padre mi chiese anche se non lo preferissi, ma tanta era stata la fatica di trascinarlo nel negozio che temevo di uscire senza fargli firmare un contratto, così che mi accontentai del piccolo Dingo. Che aveva delle sospensione decisamente sottili, un portapacchi che gli dava un'aria troppo casalinga e il pedale delle marce inspiegabilmente a destra, quando ogni moto che si rispettasse aveva almeno cinque o sei marce al piede sinistro. Comprai quello e fu un fidanzamento felice. Aveva un bel serbatoio, un bel colore, montava già un carburatore da 16 mm (quando i concorrenti montavano il 14 per tenere la potenza nei limiti di legge, che appena acquistato veniva cambiato con un 18 o addirittura un 20 mm a seconda delle velleità del motore). Ed aveva un bello stemma sul serbatoio, quello dell'Aquila di Mandello, anche se allora era il marchio che portavano le moto della polizia.
Il cinquantino di serie più ambito dell'epoca era il potente Beta a cinque marce, ma io stravedevo per il serbatoio metallizzato del mitico Muller Zundapp. Ero già allora un esteta della motocicletta.
A sedici anni tutti i conformisti acquistavano un KTM motorizzato Sachs (in un certo senso l'equivalente della BMW GS di oggi), o la sua concorrente nazionale, la SWM regolarità. Io ero già un outsider: il mio 125 preferito era lo Zundapp GS, sempre per via del serbatoio metallizzato, ed al massimo lo avrei scambiato con un Puch azzurro. Ma a dirla tutta, allora non lo ammisi mai, le moto a me già piacevano stradali. Un'eresia in un periodo in cui ogni teen-ager sbavava per una moto da regolarità pronto gara con cui poi nella realtà percorreva non più del tragitto casa scuola bar. Non c'erano molti 125 da strada nei concessionari e personalmente mi sarei accontentato anche di una Vespa Primavera beige con la sella bianca. Ebbi invece a metà con mio fratello una esoterica Husqvarna (con il serbatoio giallo e metallizzato), una rara moto svedese che allora in città non aveva nessuno. Una moto obiettivamente bellissima ma inguidabile, con il suo ruvidissimo motore da cross.
A diciott'anni sbirciavo le moto stradali, due in particolare erano nel mio cuore: La Morini 3 ½, con il serbatoio nero e rosso ed il motore a V longitudinale, e la Honda CB Four, che era la moto più avanzata e fica del momento. Il modello migliore era senza dubbio il 750, ma io ricordo bene che la Honda dei miei sogni era la 400 SuperSport rossa, forse per la linea leggera o forse perché un 400 cc mi pareva più alla mia portata. Mio padre mi iscrisse all'Università e mi regalò una Fiat 500, e di moto non se ne parlò più. In qualche modo le due ruote uscirono dal mio radar e non mi venne in mente di acquistarne una usata con il mio primo stipendio di ufficiale medico a Milano, dove in qualche officina che odorava di benzina di certo c'erano una Morini o una Honda ad aspettarmi.
Invece passarono gli anni e passarono i decenni. Di come sia tornato alla moto ho già raccontato. Mi diressi al concessionario Honda per acquistare finalmente una 750 Four e fu una delusione scoprire che non era più in commercio. Al suo posto c'era la Hornet 750 con quattro cilindri raffreddati ad acqua, che non era certo la stessa cosa. Fu una sorpresa scoprire anche che le moto giapponesi erano molto cambiate e non erano più le affascinanti motociclette rivoluzionarie dei miei giorni, quelle che avevano reso obsolete le due ruote inglesi ed italiane. Considerai la Triumph Bonneville, l'affascinante moto dei rocker inglesi, ma la flemma del concessionario fece in modo che non la comprassi. È un peccato perché con il senno di poi sarebbe stata proprio la mia moto, oltre che un marchio di cui andare fiero. Tanto che invece della moto comperai una T-shirt simile a quella che indossa Bob Dylan sulla copertina di un suo celebre disco. Feci un pensiero alla BMW F800 S, gialla come il mio Dingo (ecco il marchio dell'elica che mi si proponeva per la prima volta) ma mi convinceva poco il manubrio basso. Fosse già stata sul mercato la F800 R avrei con tutta probabilità comprato quella. Invece tornai al primo amore, una Moto Guzzi Breva 750 che avrei voluto rossa ma comprai nera perché disponibile in negozio. La comprai in 24 ore e ci feci immediatamente un viaggio al mare, dal Po alla Liguria attraverso il Passo del Sassello. Fu un'ottima nave scuola, ma durò poco: dopo due anni già mi andava stretta. Anche mio fratello era tornato alla moto, e siccome ai suoi tempi era stato un regolarista convinto, acquistò una KTM, nera con il telaio arancione, l'unica marca (o quasi) ancora sul mercato delle mitiche fuoristrada degli anni settanta. Moto Guzzi, Triumph, KTM, Ducati, quelli erano marchi da portare con orgoglio. La Ducati l'avevo considerata, la GT 1000, che era in effetti bellissima ma scomoda e più costosa delle altre.
Alla attuale BMW R1200 R Classic ci arrivai qualche cosa come cinque anni dopo, dopo essere passato anche per un Endurone come la moda impone (la Stelvio) e per la Bonnie, sempre la mia preferita. La scelsi perché era l'unica classic bike sul mercato - la Bonneville è piuttosto una vintage, come pure lo è la troppo piccola ma graziosa V7 (Moto Guzzi è praticamente sprofondata nell'oblio sotto la gestione senza passione di Piaggio).
Il motore boxer mi stava antipatico, ma la linea era filante, abbellita da quella striscia bianca sportiva di una volta, anche se il colore lucido la rendeva una moto un po' fighetta, come usa prendermi in giro mia figlia (rimasta affezionatissima alla Bonnie).
Anche la personalità del boxer era troppo automobilistica, anche se in effetti non difettava né di potenza né di ripresa. In più, quasi a prendermi in giro, pochi mesi dopo l'acquisto (salatissimo), Honda rimetteva sul mercato la mia sognata CB 750 Four, ora promossa a 1100 cc. Per di più proprio rossa.
Ho fatto molti chilometri con la mia Roadster e si è dimostrata una moto eccezionale. Ho portato bagagli e passeggero e correva come un fulmine. Ci ho attraversato i tunnel non asfaltati delle cave di marmo di Carrara, inseguito da un camion come in un film  di Indiana Jones. L'ho guidata per otto ore attraverso l'Appennino Tosco Emiliano senza stancarmi affatto. E ad ogni chilometro il motore sembra diventare più grintoso. È anche bella, anche se ci sogno sopra il serbatoio che BMW ha appena disegnato alla nuovissima NineT.
Oggi 22 dicembre l'ho tirata fuori dal box in una fredda giornata bigia e piovosa, e a cavalcarla mi ha dato la forte sicurezza di un panzer mischiata all'agilità di un Messerschmitt ME 109. Solida e agile, con il motore che borbotta, i freni sicuri ed il controllo della trazione a prendersi cura del fondo viscido e freddo. Così ho scoperto di amarla ormai un po' la mia Suzie Q (ho battezzato ognuna delle mie moto: Pimpa la Breva, Biancaneve la Stelvio, Ruby la Bonnie rossa). Avrò mai il cuore di cambiarla con la nuova CB1100 Four? Ne dubito. L'unica è guadagnare abbastanza da possederne tre di moto, magari usate: la BMW, la Honda e una Triumph Bonneville Scrambler come quella di Steve McQueen, che ne ho vista una grigia metallizzata su una fotografia che era irresistibile. Sempre che nel frattempo non esca la Ducati Scrambler ed una Moto Guzzi Strada.
Ma come si fa a non amarle le motociclette?


Commenti

alby bott ha detto…
caro Blue sarai un buon medico ma sicuramente sei un ottimo scrittore! ho letto questo tuo scrittosulle moto nelle tappe della vita: mi ci sono rispecchiato totalmente! bravo e un abbraccio! Alby Harley