una moto per Blue


Per i teenager degli anni settanta diventare motociclisti era un rito di passaggio, un rito del crescere; arrivati al traguardo dei 14 anni era necessario ottenere a qualsiasi costo dai genitori il sospirato cinquantino. Per chi come me era il primogenito l’impresa si presentava anche anche più difficile, perché si trattava di ottenere quello che per gli altri fratelli sarebbe diventato semplicemente un atto dovuto. Dopo mesi di insistenze ininterrotte iniziate ben prima della fine della scuola, io riuscii a portare mio padre al concessionario Moto Guzzi per pretendere il premio della promozione; una volta entrato non fu impossibile evitare di uscire senza il sospirato Dingo Cross giallo.  
Forse decisi in extremis che mi piaceva di più il più moderno “gilerino” beige, il Gilera 50 cc Trial (un nome sbagliato su un piccolo fuoristrada che semmai era un “regolarità”) ma non mi fidai a lasciar uscire mio padre dal concessionario Guzzi senza aver concluso l’affare. Diventato un centauro in erba conobbi il resto del parco moto della mia generazione, dal Fantic Moto Caballero motorizzato Minarelli, al più sofisticato Aspes o all’unico quattro tempi rimasto in città, il Corsarino Morini.
Senza scomodare modelli esoterici come il mitico  ed artigianale Muller Zundapp o modelli da competizione come Ancillotti, il leader dei cinquantini sulle nostre strade era il Beta 50 cc sei marce, che si lasciava senza sforzo tutti gli altri alle spalle nelle accelerazioni ai semafori (le “riprese”) ma anche sulle buche del fuoristrada, con un telaio e sospensioni adeguati e con un motore a due tempi di esorbitante potenza dalla bella testata radiale sovradimensionata. Era d’obbligo sostituire subito dopo l’acquisto il carburatore strozzato da 14 mm con uno da 18 o da 20 (a rischio di ingolfare il motore), come pure modifiche frequenti erano la marmitta (ad espansione) e le manopole Magura. L’aumento di potenza del motore non era ovviamente legale ma erano quelli tempi più elastici di questi da “brave new world” in cui viviamo oggi, e i vigili chiudevano un occhio su tutto purché non si estraesse il silenziatore. Anche le strade erano meno trafficate e pericolose tanto che non ricordo di nessun amico che si fosse fatto male o peggio.

A mio fratello, che si trovava la strada spianata, toccò proprio un invidiato scintillante Beta 50 cc rosso.
A sedici anni si aspirava al passaggio di cilindrata al 125, una moto più importante e significativa. Era assolutamente di rigore un due tempi da regolarità replica di quelli da gara, ed in particolare il mercato era diviso fra KTM “Penton” e l’italiana SWM. Io in verità non ero attirato dal fuoristrada, e nemmeno portato, e già geneticamente amavo le moto stradali e per quanto in quel momento fossero in disgrazia e fuori moda avrei persino desiderato un ormai anacronistico Moto Morini Corsaro, di cui ammiravo il rombo a quattro tempi, o un italianissimo Gilera. Sognavo persino una moto stradale che avevo visto solo su un depliant, una Motobecane 125 forse bicilindrica che imitava vagamente le forme del grosso Kawasaki Mach III, così come delle moto più “grandi” ammiravo le cromature del serbatoio della Ducati Scrambler. Proprio per il serbatoio cromato la mia 125 preferita allora e per sempre fu la Zundapp 125 GS, un vero capolavoro di arte mitteleuropea, ma mi sarei tutto sommato accontentato di vedermi sostituire il Dingo, divenuto insopportabilmente piccolo, anche con una semplice ma elegante Vespa Primavera con la sella beige.
Non ebbi nessuna di queste moto, ma mi toccò invece un esoterica svedese Husqvarna 125 Cross, i cui fianchi erano effettivamente cromati, a mezzo con mio fratello che nell’ottenere le cose era molto più tosto di me. In pratica la moto era la sua ed io potevo usarla, ma per quanto attirasse gli sguardi di ammirazione di ogni motociclista non riuscii mai ad amarla veramente perché era troppo ruvida, scontrosa e difficile, una vera cross da gara con appiccicati targa e fanali. 

A diciottanni mi innamorai della Honda 400 Four, una rossa quattro cilindri al confronto della quale tutte le altre moto impallidivano, le europee perché obsolete, le giapponesi perché più volgari, tutte meno eleganti.
Un’altra media cilindrata che non mancava affascinarmi era la Morini 3 ½, quella con i due cilindri a L ed il serbatoio a strisce rosse e nero.
Ma solo i figli di papà potevano sperare di possedere sia una due che una quattro ruote, e la scelta era ovvia: io ebbi una Fiat 500 blu usata su cui imparai a guidare e infine assorbito dagli studi universitari ed alle ristrettezze degli studenti, alla due ruote non pensai più. Non mi tornò in mente di poter avere una moto neppure quando neolaureato in medicina, l’esercito mi offrì il mio primo lavoro, “sottotenente medico di complemento”, e mi elargì il mio primo stipendio. Checché se ne possa pensare, quello con la divisa fu l’anno più bello della mia vita, e la cosa vale anche per molti colleghi che ebbero la ventura di servire per un anno come giovani ufficiali. Io ero di servizio alla caserma di Pagano, il distretto militare nella Milano degli anni ottanta, la “Milano da bere”, quella bella ed ottimista uscita dai cupi anni di piombo e inconsapevole di ficcarsi nelle secche della seconda repubblica della Lega, dei post craxisti, Berlusconi e la Moratti. Avevo una Golf Diesel bianca, uno stipendio fisso di 1.250.000 lire al mese, il primo amore (quello che non si scorda più) proprio a Milano e un futuro tutto da vivere. Bruciavo dalla voglia di professare la medicina, ma se avessi avuto sentore di quali compromessi e amarezze elargisce la vita lavorativa vera non avrei lasciato il mio nido a Milano e la bella divisa con la stelletta. 

Comunque, per non divagare, nonostante lo stipendio, la bella città ed il tempo libero, non mi venne in mente che avrei potuto cercare in qualche garage una Honda Four usata o magari l’ultima delle Moto Morini: fu un peccato, perché ero già un motociclista “dentro” anche sulle quattro ruote, e con la affidabile Volkswagen Golf portavo la fidanzata in gite per le città o per i tornanti come avrei fatto meglio su due ruote.

Invece come tutti ricominciai a pensare alla moto solo dopo i quarant’anni, dopo il matrimonio, quando il futuro non sembrava promettere più così tanto ed il passato cominciava a farsi rimpiangere. Ci pensavo prima fugacemente, magari percorrendo le curve della SS45 della Val Trebbia, ma ogni volta la consapevolezza del pericolo di andare su sue ruote (i conoscenti morti sulla strada cominciavano a contarsi) e gli obblighi familiari erano un deterrente sufficiente. Arrivai alla decisione definitiva durante una noiosa vacanza in un villaggio vacanza in Sardegna, mentre coricato a far nulla su una sdraio mi sforzavo di ignorare l’insopportabile musica trasmessa dai diffusori: perché gli organizzatori dei villaggi soffrono di horror vacui e si sentono in obbligo di riempire ogni meritato attimo di pigro relax con attività e baccano? Essere stupidi non è obbligatorio per frequentare uno di quei lager di vacanza, ma aiuta. Pensai: non è questo che voglio, appena torno a casa mi compro la moto.

Tenni duro comunque fino ad ottobre, ricominciando a sfogliare le riviste di moto e a frequentare le concessionarie. Non sapevo più nulla di moto, al punto di pensare che la Honda CB Four esistesse ancora e il mio pensiero, tutto sommato, andava alla eventuale più recente versione di quel modello. Entrai, sbagliando, in un concessionaria Suzuki. Spiegai al venditore che ero un motociclista di ritorno e di aver bisogno di informazioni per scegliere una moto turistica che mi fosse adatta. Con mio stupore non mi parlò per niente di moto, ma di prezzi, anzi, di sconti. Non avevo idea del modello che avrei comprato quando lui aveva già attaccato con preventivi e sconti. Mi portò ad una bicilindrica da 600 cc con un sedere da scooter; magari era anche adatta ma proprio non mi piaceva. Ci pensai un po’ su e ritornai per spiegare che non era quello il modello che cercavo; ne ottenni un supplemento di sconto, che mi fece uscire da quella concessionaria definitivamente. 
Nelle parole del venditore non avevo colto neanche un'ombra di passione e la cosa mi stupiva, almeno fino a quando mi accorsi che quello pareva essere l’atteggiamento standard di ogni venditore di moto del duemila: parlare di prezzi e non di motociclette. Mi avesse mostrato la V-Strom, chissà, magari sarei diventato un cliente Suzuki.

Entrai allora alla Honda, la Four non la facevano più da un pezzo, rimpiazzata da una triste CBF grigia o una Hornet aggressiva con lo scarico alto proprio dove avrei voluto mettere la borsa laterale; inoltre i motori non si vedevano, erano dei pezzi scuri di ferro raffreddati ad acqua. Decisi che qualche cosa doveva essere successo alle moto giapponesi che conoscevo io, la Four e la Mach III e IV e che i jap si erano messi a produrre moto per cartoni animati. Forse era meglio dare un’occhiata alle moto europee. 

Entrai da BMW, dove le moto erano decisamente più seducenti. Anche lì però nessuno sembrava particolarmente appassionato, e mi dovetti avvicinare per conto mio ad una F800 S gialla che aveva un suo fascino sportivo e si dava arie di importanza. Non esistevano ancora le versioni GS ed R (roadster) della 800, e forse quest’ultima sarebbe stata molto vicina a quello che stavo cercando. 
Mi misi a cavalcioni della sportiva gialla, l’aspetto era bello ma mi lasciava dubbioso il manubrio sportivo un po’ basso. Lo feci presente al negoziante, che per tutta risposta mi accennò ad uno sconto e mi promise di prepararmi un preventivo. Anche in quella occasione mi stupì l’atteggiamento del venditori che aveva in negozio un cliente desideroso di acquistare ma che lasciava immancabilmente uscire senza apparente desiderio di concludere una vendita. La crisi economica era di la da venire, ma io pensavo che nei loro panni non avrei lasciato uscire il cliente senza una firma sul contratto… 
Per la cronaca il concessionario BMW mi telefonò per informarmi che il preventivo era pronto solo più di un mese più tardi, quando io naturalmente già ero diventato proprietario di un’altra motocicletta - e mi piacque in quell’occasione farglielo sapere.

Entrai alla Triumph. Finalmente una moto che mi piaceva, la Bonneville con il serbatoio bicolore. Sembrava che se ne vendessero a palate. Forse era un po’ vintage, forse la mancanza dell’indicatore della benzina mi pareva una scomodità, ma ci eravamo vicini. Acquistai persino la T-shirt della Triumph, come quella che Bob Dylan indossa sulla copertina del disco del 1965. 
Ma anche li il venditore, consigliandomi di acquistare un usato che avrebbe provveduto a segnalarmi con tempestività, mi lasciò uscire senza concludere nulla. Tempo dopo, il giorno del mio acquisto (non Triumph) passai a visitarlo per mostragli la mia moto nuova fiammante.

Mi restava Moto Guzzi, il primo amore (che non si scorda mai). Veramente stavo trascurando un concessionario che con il senno di poi mi avrebbe probabilmente risparmiato questo calvario, ma anche se si trattava di un venditore di moto storico della città, e anzi forse proprio per quello, non mi venne in mente. Oggi posso fargli pubblicità, è Osellini Moto, e sono sicuro che non avrebbe avuto difficoltà a vendermi una Moto Morini 9 ½, per quanto un po’ più grossa di quello che avevo in mente. 
Da Moto Guzzi (non era più lo stesso concessionario del Dingo Cross) si respirava un odore di buono, e c’era un bello scintillare di cromature. Era l’anno migliore per la Guzzi moderna, quello in cui sarebbe riuscita con qualche contorsione a vendere diecimila moto, dopo le 5000 dell’anno precedente e le 2500 di quello prima ancora. Insomma, le cose andavano a gonfie vele. C’erano le Breva, le Griso, le Norge. La 750, quella che pareva adatta a me, era rappresentata dalla Nevada, un modello che non mi è mai piaciuto, ma c’era anche una Brevina 750 niente male, rossa e cromata, abbastanza bassa da sembrare comoda ma anche abbastanza tozza da sembrare importante. Il prezzo era quello che mi aspettavo di spendere, ma mio fratello, che mi accompagnava, mi fece notare che il telaio sembrava molto più datato di quello della 850, più imponente ma dotata di un bel cardano monobraccio (il CARC), che era però più grossa, più pesante, più costosa. Così anche in quell’occasione uscii con un’opzione in più per la testa. 
Ma quel motore a V mi intrigava forte, come pure l’aquila disegnata sul serbatoio e le piccole decorazioni tricolori qua e la.

La goccia che fece traboccare il vaso arrivò ad ottobre, nel giorno del mio compleanno. 
Quando ti avvicini ai cinquant’anni non hai più tanta voglia di festeggiare, ma se non lo fai per niente ti resta un po’ di amaro in bocca. Insomma, ci resti male. 
Quella mattina la mia “allora” moglie partiva con mia figlia per una settimana di mare, mentre io restavo a casa al lavoro. Un’ora dopo essere partita mi telefonò per i tardivi auguri: “Mi ero dimenticata. Buon compleanno!”
Ringraziai, uscii di casa, entrai nel concessionario Moto Guzzi e firmai il contratto per regalarmi una Breva 750 Touring nera lucente alla sola condizione che me la consegnassero per il sabato. 

La storia della moto che mi ha insegnato di nuovo a guidare, e che battezzai La Pimpa, l’ho già raccontata in un’altro post. Comunque credo che si rivelò un acquisto azzeccato. 
Mi piaceva la moto, mi piaceva la seduta, mi piaceva il rombo del bicilindrico. Certo, non passò più di un paio d’anni prima che mi diventasse stretta e decidessi di cambiarla, ma anche se avessi comprato da subito una moto più grande e definitiva non sarebbe stata altrettanto facile, paziente e leggera da guidare. La Pimpa mi perdonava tutti gli errori, mi lasciava aprire il gas a manetta senza strattoni e mi lasciava strizzare i freni senza bloccare, era agile, comoda e servizievole. Mi ha insegnato a guidare, mi ha portato sui grandi laghi, sull’appennino come in città e anche se sbagliavo ad impostare un tornante non mi ha mai tradito. Si imbizzarriva un po’ sulle buche (e le strade della seconda repubblica di buche e asfalto consumato non mancano di certo) probabilmente a causa delle sospensioni poco efficienti e delle ruote da 17”. 
La moto universale non esiste e Breva 750 è stata per me una grande nave scuola. 
Prima di venderla considerai la possibilità di farne una “special” e forse, se fosse già stata la V7 (la moto vintage che in seguito Moto Guzzi derivò dalla Brevina) forse l’avrei tenuta un anno di più. Avessi acquistato la Bonneville forse non l’avrei cambiata (ma era meno agile, e sarebbe stata una maestra di guida più severa). Avessi acquistato la BMW F800 S gialla oggi probabilmente guiderei una R1200 R bianca. Avessi acquistato una giapponese forse avrei scoperto la Kawasaki Rex, che comunque era già fuori mercato e che si trova pochissimo sull’usato perché è bellissima e chi ce l’ha se la tiene stretta. Invece avevo comprato una Moto Guzzi e la cambiai con una Moto Guzzi, la gloriosa Stelvio 1200 con il nuovo motore a quattro valvole per cilindro, comprandola a scatola chiusa ma solo in virtù delle fotografie. Avessi saputo che era così grossa forse ci avrei pensato due volte, magari avrei preferito provarla. 
Avevo avuto modo di guidare tutte le Moto Guzzi sul mercato e le conoscevo abbastanza per capire che il mancato successo che patron Piaggio si aspettava da quella bella squadra di due ruote dipendeva dal fatto che erano sì ottime moto, ma in nessuna ci si era sforzati di raggiungere la perfezione, quella per cui il cliente paga soldi buoni. 
La Breva (850, 110, 1200) era il gioiello di famiglia, ben costruita, agile, comoda, ma non lo dava a vedere con quel serbatoio troppo panciuto, quel fanale vintage e sopratutto quel manubrio da scooter. La Sport 1200 era una Breva di maggior fascino, ma scomoda a causa del manubrio costruito troppo basso senza spostare le pedane. La Griso era una muscolosa Harley mediterranea, un cattivo soggetto con delle belle doti sportive, ma chi aveva deciso che la posizione di guida avrebbe dovuto essere a braccia larghe e busto scomposto in avanti? Il difetto non sarebbe stato corretto prima della Griso 1200, quando il potenziale di novità della moto era esaurito a favore della Ducati Diavel, una sorta di Griso senza difetti costruita da un’azienda senza compromessi. La Bellagio poi aveva una posizione di guida troppo rannicchiata ed un serbatoio un po’ sgraziato, almeno nei confronti delle più belle Harley e Triumph, sia pure essendo di ben altra categoria per motore e ciclistica.

In questi anni le moto ad aver maggior successo di mercato sono le cosiddette enduro stradali, moto a 360° come la BMW R1200 GS, che in qualche modo con un po’ di fantasia si possono considerare come le vere discendenti delle 125 da regolarità degli anni settanta per i medesimi piloti, quei ragazzi a cui nel frattempo si sono imbiancati i capelli. Così cambiai la Brevina per la Stelvio 1200
Se la GS era l’equivalente della KTM 125, la Stelvio la vedevo come l’outsider, la SWM. 
Meno comoda della BMW, più grossa, lunga e pesante, ha però quel motore a V che i guzzisti amano, quel rombo inconfondibile ed una ciclistica perfetta. 
Nel frattempo sarebbero arrivate sul mercato altre endurone, dalla affascinante Morini Granpasso (esteticamente la più intrigante), alla Yamaha Super Ténéré, alla perfetta Ducati Multistrada di ultima generazione, senza dimenticare la già presente KTM Adventure, la più portata di tutte al fuoristrada. 
In questi anni la Stelvio mi ha portato dappertutto, dai passi alpini a 2800 metri di altitudine al deserto del Sahara, e non mi ha mai tradito, anche se il motore della prima serie è un po’ più ruvido rispetto ai magnifici standard di elasticità del bicilindrico a V. Devo ammettere che le “enduro stradali”, che adesso stanno fortunatamente comparendo anche nella cilindrata più umana degli 800 cc, sono la moto ideale a tutto terreno, dall’ufficio allo sterrato sulla cresta del Col di Tenda. 

Ma io sono ancora un classic biker, il motociclista con il giubbotto di pelle del fumetto di Joe Bar che rimpiange le cromature della Ducati Scrambler e della Honda 750 Four, così come le due strisce del serbatoio della Morini. Anche se il mercato sembra ignorarmi, sarei il cliente ideale di una V8, magari la scrambler che stanno per presentare se Moto Guzzi non si ostinasse a rendere belle solo le piccole 750 dal telaio vintage. 
Lo sarei di una Morini, di una BMW R1200 R se le marmitte non conferissero al motore la tonalità della NSU Prinz. Magari anche di quella Honda 4 cilindri raffreddati ad aria di cui si parla inutilmente da qualche anno. Di quella V12 strada presentata ad un Salone della Moto di qualche anno fa, se in Guzzi riuscissero a non conferirle qualche difetto.

Mi domando: sono l’unico classic biker che non vuole cavalcare la moto dei Pokemon o una moto da Rally? Chissà, in questi anni di crisi del mercato le case motociclistiche potrebbero anche fare un esame di coscienza e rivedere le loro convinzioni in fatto di modelli…


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Commenti

Andrea Andreutti ha detto…
A me ora come ora piacerebbe una bella cafe racer all'italiana, con tanta coppia in basso e pochi fronzoli. Speriamo che mamma Guzzi mi ascolti.
Blue Bottazzi ha detto…
Esserci c'è ma fanno solo piccolina, la V7 750 con 46 CV. Che spreco non usare il telaio ed il motore della 850 per fare una "V8".
Immagino come sarebbe la V8 scrambler:

http://bluebottazzi.blogspot.com/2011/02/moto-guzzi-v7-scrambler-hanno-rifatto.html
Blue Bottazzi ha detto…
Sabato sono a Mandello GMG!
Paolino Paperino (alias Pierpaolo) ha detto…
Ciao Blue, mitica la tua storia degli anni passati: ho percorso anch'io tutte le "fasi" della motomania, a partire dal mitico Beta 50cc, 5 marce, marmitta a sogliola Lanfranconi (da ustioni....) e rigoroso carburatore del 20!!!! (cosi' i Caballero non li vedevo neanche....)
La mia seconda moto, a 16 anni, e' stata forse la piu' esclusiva: una fantastica Mazzilli 100cc, motore sachs 6 marce, venduta da "fesso" a meno di 400.000Lire pochi anni dopo (ora vale sui 13.000 Euro...).
Poi l'acquisto piu' pazzo: una SWM 250cc, sachs 7 marce: veramente inusabile: o ingolfata o "a paletta". Sono riuscito a tirarmela in testa 2 volte sui vari percorsi da cross e poi l'ho venduta.
Testardo come sempre, dopo una parentesi stradale con Guzzi 250cc 2 tempi (in pratica la Benelli carrozzata Guzzi), ottima, divertente ed anticrisi (6-8Km /litro...) e Morini 500cc (la strega, che ho ancora come moto d'epoca...) sono ritornato all'enduro: KTM 350 5 marce: altra moto inusabile..... etc. etc...
Attualmente, oltre al Morini 500 ho un KTM del '95, 2 tempi... fantastico, moto elettrica e, finalmente arrivo al dunque: BMW R850R.
Non pensavo ma si e' rivelata la "mia moto" per eccellenza!!! Un eccellente compromesso tra: maneggevolezza sulla 45 e similari e stabilita' in autostrada!! Ultima grande esperienza di scorsa settimana: la Route de Grand Alps, seguendo i tuoi suggerimenti, con un gruppo di 6 amici oltre me, abbiamo fatto 1320 Km in 48 ore: a parte il grande "godio", zero mal di schiena, grande affidabilita' e zero problemi, nonostante la "piccola" abbia superato i 65.000Km....
In sintesi, il mio surregimento per Blue e': orientati non necessariamente sul nuovo, esistono degli ottimi usati, soprattutto in casa BMW, che possono rispondere alle tue esigenze. HAVE FUN!!!!
Diego ha detto…
Ciao blue bottazzi, sono d'accordo al 100% con te. Difficile fare una moto che non sembri un trasformers?
Io ho una V7 ma come dici tu è un po' piccola, mi sta facendo da scuola (è la mia prima moto), guardo con interesse alla nuova california 1400. Spero guzzi non deluda.