Il turista è attirato da una spiaggia, un albergo, una spa, un ristorante. Il motociclista dal territorio. Viaggiare in moto significa viaggiare dentro l’anima del territorio, di tutto ciò che lo compone: le strade, le case, i paesi, il traffico, la gente, il clima. Il fresco dell’ombra dei boschi. Perché esiste un mondo parallelo a quello quotidiano, un mondo nascosto fatto di strade minori e dimenticate, e di colline un pò più a nord o un po’ più a sud della statale ingolfata. Ma forse sarebbe più appropriato dire, esisteva. Come per il bisonte americano, anche il territorio del motociclista si sta facendo a macchia di leopardo.
Una mia regola aurea è sempre stata quella di non spostarmi un autostrada, per cercare invece una via secondaria, che viaggi indietro nel tempo, a prima che gli antichi rettilinei tracciati dai romani fossero trasformati nelle ellissi di circonvallazioni e tangenziali. Le case editrici si danno da fare per stampare mappe stradali per motociclisti, che tali non sono. Sono le medesime carte delle automobili (oggi rese anacronistiche dai navigatori), stampate in carta plastificata e dimensione dimezzata per tenere meno spazio, e dunque doppiamente inutili per il motociclista per il quale ogni dettaglio conta. Quello che dovrebbe fare la differenza in una mappa stradale per le due ruote è la priorità dei percorsi. Che non spetta ad autostrade, superstrade e statali, ma al contrario a minuscole provinciali e carrettiere dimenticate. Dovrebbero queste mappa insegnare ad attraversare il mondo in modo alternativo, evitando i danni del progresso. Ma se anche esistessero, queste carte avrebbero sempre meno da mappare, perché il territorio è ogni giorno rosicchiato dal nulla della periferia. Questo paese sta trasformandosi in una ininterrotta periferia, fatta di tangenziali, raccordi, centri commerciali, edilizia popolare, zone industriali. Le periferie si continuano senza interruzione da un paesello al successivo. Ed allora, piuttosto che subire la bruttezza di chilometri e chilometri di periferia, tanto vale volare alla destinazione dritti in autostrada.
Ci facevo caso, intristendomi, mentre andavo come al solito inutilmente alla ricerca di un’alternativa a monte della via Emilia. Cercavo un paese che mi desse ristoro dalla calura, una piazza antica, un’osteria ombrosa in cui accomodarmi per ordinare una granita. Un’anguriaio! Non esistono più gli anguriai. Il loro posto l’hanno preso mille baretti squallidi, tutti con la scritta “menu di lavoro 12 €”, tabaccherie con giochi d’azzardo incorporati, fast food disponibili ad offrirti a tutte le ore l’imitazione insapore di un hamburger americano. Ma non c’è modo di avere una granita o una fetta di anguria, né di essere attirati da un campanile verso un centro abitato da persone. Gente ce n’è quanta ne vuoi, sulle automobili e nei centri commerciali che hanno preso il posto del paesaggio, ma persone non ne vedi più.
Una volta i paesi esibivano con orgoglio la bellezza del palazzo comunale, della scuola, della stazione ferroviaria, della chiesa. Oggi tutto ciò che di bello ci resta, è stato costruito cent’anni fa, nella prima metà del XX secolo. È dal dopoguerra che le giunte comunali seminano bruttezza, e gli edifici che una volta erano i fiori all’occhiello, il palazzo comunale, la scuola, la caserma, sono ora le più tristi brutture, in gara con le file di capannoni lungo le strade - deturpate dall’onnipresente acciaio dei guard rail e dagli inutili cartelloni della pubblicità (che non sono più quelli memorabile degli aperitivi italiani dei tempi del dèco, ma sono stati rimpiazzata da finti caminetti, funerali in saldo, pizzerie ristoranti, bidet a basso budget). Le strade stesse si sono fatte sgraziate, non tracciate dalla mano dell’architetto ma cresciute a caso e bocconi con la logica delle erbacce.
Il Belpaese è diventato brutto, abbattuto dai colpi di una politica dannosa per il territorio quanto le cavallette, che non da alcun valore alla bellezza ed è avida solo di denaro. In quello che non sono riusciti i Barbari, ce l’ha fatta il Partitone.
I motociclisti, con i loro bicilindrici, sono i bisonti americani. Una specie in via d’estinzione, cancellati da un futuro di auto a guida autonoma e motore elettrico.
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