Il solstizio d'estate, il giorno più lungo dell'anno. Per sovrammercato un giorno molto caldo, e con qualche blues da piangere. Ma quando si avvicina alla fine, non posso non festeggiare una delle feste più pagane.
Mi metto in moto alle otto di sera, l'ora a cui di solito si fa rientro. Calcolo (con troppo ottimismo) due ore di luce a disposizione. Salgo in collina, in Val Luretta, in direzione della Pietra Parcellara a rincorrere il sole.
Imbocco la strada bianca in direzione del Penice. Non è proprio una strada bianca, è una vecchia strada asfaltata ormai sbriciolata; il che significa il peggiore dei terreni, con tanti sassi, tanto brecciolino, buche e durissime isole di asfalto.
Arrivo alla provinciale SP34 che corre da Pecorara al Penice. Per strada non c'è nessuno, solo io e qualche animale. Incontro caprioli (al plurale), lepri, mucche. Per fortuna niente cinghiali.
Il fondo è tutto rotto, è stato riparato con qualche badilata di ghiaia. Prendo una buca piena di sabbia, la moto si intraversa e si piega pericolosamente. Dura un attimo, ma è sufficiente per prepararmi alla caduta, e per rendermi conto che c'è il guardrail. Invece la Scrambler, anche senza controllo della trazione, si raddrizza. Mi è andata bene, sono stato graziato.
Mi immetto sulla Bobbio Penice, alle 21:30 sono sul passo, al tramonto. Non è poi così lunga questa giornata più lunga, non come nel Nord Europa. Sul Passo del Penice sono solo, non c'è nessuna moto. Scatto una foto sotto la statua di San Colombano, mi concentro sull'intensità del momento e riparto. La spiritualità è incrinata dalla fame: a sapere dove, mangerei volentieri.
Scendo per 13 chilometri di belle curve fino a Bobbio, filo via senza fermarmi e nell'imbrunire percorro la SS45 verso casa, verso Travo e poi Rivalta. Il romanticismo del momento è rovinato dai moscerini, triliardi di moscerini nell'aria calda. È l'estate in Val Padana.
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