Era allora la moto un oggetto assolutamente di passione, tanto per i motociclisti quanto per chi le produceva, spesso poco più di semplici meccanici che assemblavano parti acquistate per mettere assieme autentici oggetti del desiderio. Ma anche capaci di soluzioni tecniche ardite, come la costruzione di motori in proprio, come riuscirono a fare anche realtà minuscole.
Negli stessi anni facevano la comparsa motociclette particolarmente rivoluzionarie, quelle di marca giapponese come Honda o Kawasaki, che marcarono una nuova generazione "tecnica" con modelli come Mach III e soprattutto 500 / 750 Four - un salto quantico a confronto delle inglesi e delle italiane di allora, per lo meno per quanto riguarda il motore, il design e la tecnologia, perché il tallone d'Achille di quelle moto rimase a lungo il telaio (al punto che si videro motori giapponesi inseriti in telai italiani).
Dopo qualche decennio se di passione nel cuore dei motociclisti ne è rimasta tanta, molto meno si può dire in quello dei produttori. Sparita la maggior parte dei "piccoli" produttori (anche se una storia come quella della rinascita di Triumph dimostra che lo spazio per gli indipendenti non è venuto meno neanche oggi), le grandi aziende sembrano non lavorare più sulla passione per adeguarsi alla filosofia dell'era della finanza.
Ma la motocicletta è un oggetto di piacere che non può essere spiegato, né tanto meno prodotto, con la mentalità delle multinazionali.
Un oggetto in cui confluiscono molte proprietà, tanto di design quanto di tecnologia.
Il design della moto deve essere sincero e non fasullo come in un giocattolo, autentico e funzionale allo scopo. Deve essere capace di evocare l'architettura ingenieristica, la personalità della moto restando tecnologico. La tecnica (il motore, la potenza, la velocità) è parte integrante dell'oggetto motocicletta. Di elettrico si potrà in futuro progettare lo scooter ma non la moto.
La potenza è stata fino ad oggi largamente equivocata. Se da un lato la motocicletta non può essere bolsa, dall'altro la potenza non deve nemmeno ridotta ad un numero, facile da comprendere per menti semplici: la potenza è un carattere, è una personalità. Potenza significa che il motore risponde pronto al comando dell'acceleratore, che la coppia spinge la moto in accelerazione ed in ripresa, e che resta sempre a disposizione un margine di velocità sopra la media che si tiene. Non significa invece che 100 CV sono meglio di 80, né che 160 sono meglio ancora. The bigger is not the better. Non significa che il motore di una stradale debbe girare come un trapanino oltre i 12.000 giri al minuto, né che 800 cc siano pochi e 1200 siano meglio e 1400 cc ancora di più, e non significa nemmeno che quattro cilindri sono meglio di due. Insomma, anche per la moto dovrebbero essere superati i tempi in cui un computer veniva giudicato dalla velocità del microprocessore anziché dal suo sistema operativo.
La "proprietà" potenza è una personalità e lo stesso vale per la cilindrata e le prestazioni, che non possono prescindere dai limiti legali di velocità delle strade su cui la moto si troverà a circolare (vale a dire 90 e 130 km/h) ma che dovrebbero significare soprattutto confort alla velocità di crociera: per esempio 130 km/h di tutto riposo anche se tenuti di media.
Il confort comprende anche optional bistrattati. Per esempio moto muscolose come Diavel e Griso sembrano vergognarsi di potersi dotare di borse da viaggio. Il "fun-biker" vive in una realtà parallela creata dal marketing e non va al mare in moto. Sono davvero così sicuri i costruttori che non ne avrebbero venduta qualcuna in più se avessero tenuto conto che a chi spende cifre come 13.000 o 20.000 euro una valigetta fa comunque comodo?
A metà strada fra la tecnologia ed il design, ma comunque vitale per una motocicletta, si pone il rombo del motore. Si dice che Harley Davidson abbia addirittura brevettato il martellare del proprio bicilindrico. Il ruggito della Ducati è inconfondibile, mentre le nuove Bonnie sembrano aver accettato di far soffocare il più classico fra i rombi del quattro tempi dai silenziatori delle nuove marmitte. Il boxer delle vecchie BMW è ancora capace di far girare la testa, mentre il suono del quattro valvole ha dell'utilitaria a quattro ruote, ed anche il rombo del Guzzi a V sembra in pericolo sul nuovo 1200 4V. Dai tre cilindri in su, poi, sembrano tutti sibili di trapano.
Moto come le Harley, la Bonneville e le nuove Moto Guzzi V7 sono volutamente vintage, tutto design e poca tecnica. Le Ducati sono un buon equilibrio fra tecnica e design, ma solo in modelli estremamente potenti e costosi. La BMW R1200 R è una splendida moto classica, di design e di tecnica, ma ha il canto di una NSU Prinz. I giapponesi danno l'idea aver perso il senso della passione verso un oggetto che ormai ritengono a tutto tondo un semplice prodotto, da far concepire dal reparto marketing e da buttare sul mercato in quantità industriali. Il risultato è un prodotto concepito come un giocattolo, che evoca la motocicletta ma che motocicletta non è più: la forma stessa può diventare un inganno, con un serbatoio che serbatoio non è, o un telaio che funziona indifferentemente per lo scooter e per la moto. Ciò che si vede non è più funzionale allo scopo, ma dettato solo dal design, in questo caso di ispirazione manga. Che ne è del design affascinante della Honda 750 Four o della Kawasaki Rex?
Dicono che "crisi" si declini anche in "opportunità": potrebbe essere questa un'occasione per comprendere ai produttori che le motociclette non sono saponette da produrre per denaro, che 80 CV e 800 cc quasi sempre bastano ed avanzano, che il prezzo ha il suo peso sul mercato, che il fascino non è un optional indifferente?
Per ora non sembra, ma non si sa mai, magari un outsider…
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