Moto di famiglia


Invidio quelli che guidano la stessa moto da tutta la vita. È come un matrimonio, una coppia che caratterizza moto e pilota. Ma a me non è mai riuscito, né con le moto, né con le mogli. Sono rimasto a lungo senza moto, per vari motivi compreso quello che non ci avevo più pensato, e sono tornato ad essere un motociclista all’inizio degli anni duemila, in occasione della crisi di mezz’età. Da allora ho avuto diverse moto, ed altre ne ho desiderate. A dimostrazione di quanto si arrivi ad amare la propria moto, ho dato un nome proprio a tutte, cosa che mi sono ben guardato da fare con le auto (ad eccezione di quella che trasportava mia figlia piccola, che abbiamo battezzato Isotta). E mi è dispiaciuto venderle, perché una moto ti da felicità e ti crea ricordi indelebili. Ma la vita è così breve, e le moto da guidare così tante…


Quando sono tornato alla moto pensavo di acquistare l’ultima incarnazione della Honda CB 750 Four, un modello rivoluzionario dei mie vecchi tempi. Fino a che mi sono reso conto che la Four non era più in commercio, e che le moto erano cambiate parecchio dagli anni settanta. Ero tentato da una attraente Triumph Scrambler rossa, ma alla fine mi trovai su una Moto Guzzi Breva 750 GT nera, (la "Pimpa"). A dispetto del mio ritardo come motociclista, fui sempre un po’ in anticipo su ogni acquisto: la Breva si rivelò una adeguata scuola guida, ma l’anno successivo subì un aggiornamento nella Moto Guzzi V7. Avessi comprato quella, me la sarei fatta durare un po’ di più. La dote migliore di quella moto era il bicilindrico a V Guzzi, che non mancava di fascino e soprattutto della proverbiale elasticità mai più trovata in nessun motore. Era leggera, facile, agile quanto basta, e mi rese semplice imparare a guidare una maxi cilindrata. La guidai per due anni, di viaggi splendidi, prima di cambiarla, perché mi era diventata stretta.
Ai tempi dell’acquisto ero indeciso con la Triumph Bonneville e una sportiva BMW F800 S gialla.
Potessi tornare a quei giorni, la ricomprerei? No, prenderei la Triumph Scrambler. Mi sarebbe di certo durata più a lungo.


Ormai votato al motore a V della Guzzi, ed in un universo che girava attorno alle grosse enduro come la BMW R1200 GS, cambiai la Breva per una Moto Guzzi Stelvio ("Biancaneve"). Fu una grande grande moto la Stelvio. Anche nel senso delle dimensioni, eccessive come un po’ nella tradizione della casa, vedi la famiglia delle California. Un motore potente di una stirpe leggendaria e una stabilità ferroviaria, favorita dal passo lungo. Dettagli di una grande perfezione, come l'impianto elettrico, le sospensioni Marzocchi, i freni Brembo, ma non sempre assemblati a regola d'arte.
La sua stabilità mi ha salvato almeno in un paio di occasioni, e la moto mi ha portato ovunque, dalla sabbia del Sahara alle vette della Bonette e del Grossglockner.
Però le dimensioni, se da un lato le conferivano un carattere da comoda giramondo, sul rovescio della medaglia comportavano la necessità una certa malizia nel condurla. Alla fine una moto dovrebbe essere un confort, non una (piccola) fatica. Il mio modello (il primo delle Stelvio prodotte) peggiorava le cose a causa di un motore brusco, che fu corretto nei modelli successivi.
La ricomprerei? No, potendo consiglierei a me stesso di accettare l'offerta che un amico mi fece all'epoca di acquistare la sua Triumph Scrambler verde bicolore.


La Triumph Bonneville T100 fu probabilmente la mia moto più amata.
In realtà non la comprai, eppure ne ebbi due. La prima, una bellissima T100 nera, mi è stata consegnata in prova dal concessionario per ben 1 mese, e la resi dopo averla guidata per 1000 km. Una facilità ed una bellezza di guida che si sposavano con il mio temperamento da pilota romantico. Una moto che si lasciava guidare come una bicicletta, con un gratificante rombo di sottofondo. Effetti collaterale tanti, ma facevano parte della filosofia del modello. È lenta, una moto con cui viaggi a 100 all'ora di media, il che significa che devi tener d'occhio lo specchietto retrovisore perché le auto possono sorpassarti (il che è una specie di sacrilegio per un motociclista). La guida è confortevole fino a che è rotonda, ma tollera male staccate brusche e movimenti nervosi, che la imbizzarriscono. I viaggi lunghi sono possibili ma non comodi, perché le gambe restavano troppo piegate sotto la sella bassa, almeno nel modello originale.
Ben inteso, niente che possa fermare un motociclista in giacca di pelle.
Contemporaneamente un amico collezionista mi mise a disposizione la sua elegante Bonnie rossa ancora con i carburatori e tutti i dettagli giusti, che usai per un anno (soprannome: "Ruby"). Il motore con i carburatori ha la sua personalità, ma a conti fatti anche il progresso ha il suo perché. Da fermo preferivo il modello vintage, ma viaggiare era più comodo su quello moderno.
La ricomprerei? La ricomprerò.


Di questi giorni è tornata prepotentemente di moda la moto classica, ma cinque anni fa le uniche classiche erano la Bonnie e la BMW R1200 R Classic, nera con la fascia sportiva bianca. La prima l’avevo già avuta, comprai la seconda (battezzata "Suzie Q"), modello che aveva vinto per un lustro consecutivo dell'Alpen Masters, il premio collettivo delle riviste motociclistiche europee per la guida in montagna. Dopo pochi mesi Honda mise di nuovo in commercio la CB Four, nella cilindrata di 1100 cc. Di nuovo l’avevo mancata per un pelo.
La R (che sta per Roadster) è una moto (quasi) perfetta. Posizione di guida extra comoda, grandi doti ciclistiche, agilità, ed un motore, il boxer 1200, dotato di immensa spinta e carattere sportivo eppure adatto al gran turismo. Mi ha portato dappertutto, spesso in due, spesso a pieno carico, e nessun viaggio è riuscito a stancarmi, neanche dopo otto ore consecutive di guida. Tanto sui tornanti più stretti che in corsia di sorpasso in autostrada la Roadster ha sempre dato il massimo. La dote più entusiasmante era la bruciante accelerazione nei sorpassi.
Pesantina, ma solo da ferma, ed alta il giusto. La sospensione anteriore era un telelever, che comporta un notevole confort, ma anche un feeling limitato con l’avantreno. Non è un problema di guida, solo un po’ di divertimento in meno. Erano gli anni in cui BMW Motorrad cercava una qualità automobilistica, che si pagava anche con un sound troppo silenziato, ed un rapporto di trasmissione allungato rispetto a quello perfettamente calibrato della sorella R 1200 GS — con il prezzo da pagare di un calo di potenza sotto i 2000 giri del motore, in cambio di nessun vantaggio, perché sfido ogni pilota a cercare di superare i 200 km/h su una naked.
La ricomprerei? No, vorrei la Honda CB Four, anche per sperimentare un motore a quattro cilindri, dopo tutti i bicilindrici che ho guidato.
La Roadster mi ha insegnato ad amare il motore boxer, un vero gioiello, che oltretutto ha continuato a migliorare di carattere mano a mano che macinava chilometri. Di tutte, è la moto che ho tenuto più a lungo e ho considerato di farne la moto definitiva. Non fosse stato che per la mancanza del rombo, che sulla sorella NineT ha ben diverso timbro, forse ce l'avrebbe fatta.



Ora riparto dal via: ho comprato la Triumph Scrambler che volevo fin dall’inizio, perfetta per le strade italiane ridotte a colabrodo. Dopo tante moto battezzate al femminile, questa si chiama Steve (McQueen).

Cosa mi aspetta al prossimo giro? Ancora un boxer con la BMW Scrambler? I quattro cilindri della CB? O la definitiva bellezza di una Bonneville bianca e azzurra?

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