Ducati Diavel


Dopo essere stata la moto più ammirata del salone a Milano, la Diavel è planata sui concessionari, e noi di Motociclette Blog abbiamo avuto l’onore di provare il modello top, la Carbon, grazie alla gentilezza di Giuliano Bertolotti e di Osellini Moto di Piacenza. Vista al Salone la Diavel offriva piena esibizione dei propri muscoli, come una sorta di T-Max o di Harley mediterranea, con la differenza significativa rispetto a queste cruiser di associare alla personalità esuberante anche una il top della tecnologia e delle prestazioni. Vista oggi da vicinissimo la Diavel svela il proprio segreto: è sotto ogni punto di vista una Porsche a due ruote, a partire dalla forma del fanale anteriore, a seguire dalla rotondità delle curve, della potenza del motore, del concentrato di tecnologia, ma anche l’eleganza dell’insieme - quasi un esercizio di design- e la percezione della perfezione dei materiali e dell’assemblaggio, molto superiore ad ogni altra moto dell’officina che letteralmente sparisce al suo confronto, o sembra superata. La moto che ho l’onore di cavalcare è il modello top da 19.990 €, la nero carbon, ma le stesse considerazioni valgono per le sorelle, quella nera e quella rossa da 16.900 €.
Salire su una tale moto, lo confesso, intimorisce un po’, sia per la sua importanza ma anche per la cavalleria che mi prendo l’impegno di gestire. L’impressione di salire in sella conferma il paragone con la Porsche: come sulla quattro ruote ci si incastra nell’incavo all’interno nel mezzo. Con il casco indossato la moto sparisce letteralmente, nel senso che non risultano più visibili né il panciuto serbatoio, né il manubrio, il fanale e nemmeno la strumentazione elettronica (non si riesce a guardare la strada ed il tachimetro contemporaneamente). Su una Diavel non cavalchiamo la moto, ma diventiamo la moto, con il motore che ruggisce nella pancia ed il nostro sguardo incollato alla strada.
Nonostante appaia decisamente muscolosa, la Diavel sorprende per la sua leggerezza. Non è solo un’impressione legata al basso baricentro e alla posizione bassa del pilota che permette di porre con sicurezza le gambe per terra, ma è perché la Diavel è proprio leggera: poco più di duecento chili, per un mastodonte che ne dimostra di più.
Parlando di tecnologia, la chiave non si infila ma si tiene in tasca. Eseguito il check, l’elettronica da contatto al bicilindrico, ed un ruggito sale dal basso scuotendoci lo stomaco come se cavalcassimo un leone: ancora una volta è una Porsche il paragone che viene alla mente.
Confesso di lasciare la frizione e dare un filo di gas con un po’ di emozione. Sarò capace di domare una delle moto più potenti del mercato? L’elettronica prevede tre configurazioni base: sport, touring e urban. È con la terza che mi inserisco in una rotonda nel traffico, e la sensazione è straniante: la Diavel è agile come un ciclomotore e gira letteralmente attorno ad una moneta. In modalità Urban si può dar gas in piena tranquillità perché l’erogazione è così progressiva da risultare tranquilla e la potenza stessa è tagliata; solo il rombo sotto di noi dichiara che stiamo cavalcando una Ducati, ma il ruggito è il dolce brontolio del leone. Passo subito alla modalità Touring e, seconda sorpresa, l’erogazione continua ad essere assolutamente progressiva. Ovviamente la cavalleria è tantissima (162 CV) e aprendo il gas la Diavel ci schizza in pochi secondi ad alta velocità, ma senza alcuno sgradevole effetto di on-off né strappando le braccia. La sensazione di controllo resta totale. Il tempo a mia disposizione non è molto, sono immerso nello stupido traffico del sabato mattina e mi prende l’ansia di raggiungere qualche curva per provare come si deve tanta moto. Lungo il percorso non c’è un casco, fra i motociclisti che incrocio, che non si volti a identificare e seguire la nuova Ducati.
A prima vista è impossibile non notare l’enorme gomma posteriore della moto, della dimensione surreale di 240 mm, ben di più del già abbondante 180 a cui sono abituato sulla mia moto. La gomma, una Diablo (che altro?) di Pirelli, è stata costruita appositamente per questa moto, unica sul mercato. In curva la Diavel è agilissima, ma la mia impressione di pilota di indole turistica è di dover anticipare la piega con il corpo con una certa convinzione per essere seguito con prontezza dal mezzo, probabilmente a causa sia delle dimensioni della gomma che della potenza del motore che, elettronica o no, spinge la moto come un proiettile di cannone. Fra le curve la Diavel si mantiene docile e ben servita dal ride-by-wire, ma è meglio non abusare dell’acceleratore che resta sempre progressivo ma lancia molto rapidamente in velocità. Forse perché è la prima moto che guido con l’aiuto del computer, ma la sensazione è assolutamente diversa da ogni due ruote abbia mai guidato prima; in un certo senso è l’emozione più forte da quando sono salito per la prima volta su una due ruote di grande cilindrata. La sensazione di saperla gestire in sicurezza resta elevata, ma al tempo stesso il buon senso mi suggerisce la prudenza. Nel ritorno mi azzardo ad inserire la mappatura Sport in rettilineo; con mia sorpresa la progressione dell’erogazione non cambia, l’impressione è che il motore vada a cercare la potenza ad un regime più elevato. Immagino che la Diavel vada provata in modalità Sport in una situazione diversa da una strada aperta al traffico.
Faccio rientro estasiato e già un po’ innamorato, e spento il motore mi attardo un po’ in sella per offrirmi agli sguardi degli altri motociclisti: della serie “sì, ho guidato una Diavel”. Lascio in sella un pezzetto di cuore e per prolungare il sogno mi faccio calcolare un preventivo del modello base. Il responso è attraente oltre ogni previsione: volendo potrei lasciare il mio bicilindrico attuale (decisamente più ruvido di guida) e passare alla bellissima Ducati per un prezzo possibile. Mentre tratto, stanno ritirando un’altra Diavel, e non è la prima venduta dalla concessionaria.
Dicevano che la Diavel abbia preso questo nome perché è “ignurànt comm’al Diavel” (ignorante come un demonio). Il test di guida mi ha dimostrato che dal punto di vista tecnologico di ignorante la moto non ha proprio nulla, ma è mentre considero l’acquisto che mi rendo conto in cosa sia "ignorante" questa bellissima moto. Non si tratta solo di 16.900 €, ma anche del fatto che (ancora una volta come una Porsche) il costo consiste nel potersi permettere una moto tutta potenza e divertimento, ma monoposto (o due posti molto striminziti) e senza bagagli (è prevista una borsa da serbatoio). Insomma, è come possedere una formula uno con cui non potersi permettere la vacanza in Corsica. In questo un cliente come me non può probabilmente permettersi un’amante come la Diavel. Ma sono sicuro che di piloti per la Diavel il mondo possa essere pieno: non c’è che da provarla per innamorarsene.

P.S.: sarà suggestione, ma mi piacerebbe acquistare una bella Ducati rossa. Ma la Monster per quanto bella è troppo scomoda, con il manubrio basso che proietta la testa del pilota oltre il fanale; la Streetfighter è troppo sportiva, la HyperMotard troppo minuscola e specialistica, la Multistrada in concorrenza con notevoli enduro stradali. Per ora la Ducati è troppo "Porsche" per il pilota turista. Quando diventerà più "Audi" (parole di Ducati), forse troverò la rossa che fa per me.



Commenti

Andrea Andreutti ha detto…
Ne sento parlare un gran bene da tutti. Io però non ne amo il design (che trovo un po' pesante e goffo) nè la scarsa praticità d'uso, tenuto anche conto del prezzo non proprio popolare. Un abbraccio e quando ci si rivede?
Andrea Andreutti ha detto…
Sono stato alla Ducati e l'ho provata. Mi sono innamorato ;)
Blue Bottazzi ha detto…
Sì. È una moto straordinariamente "ignorante". Sono tentato ma so che per me sarebbe un acquisto sbagliato...