Il giro di cui racconto risale in realtà alla scorsa estate ma, volendo rileggerne la cronaca mi sono accorto di non averla mai scritta. Ragion per cui lo faccio ora.
La strada bianca è la condizione ideale di ogni motociclista dotato di una moto con le ruote anche minimamente artigliate. Una scrambler o una enduro. Una volta nessuna strada era asfaltata, ma oggi i tratti bianchi sono rimasti pochi, rari e quasi sempre ciechi, per cui l’impresa è trovarne qualcuno dimenticato, da qualche parte sulle Alpi o sugli Appennini.
Uno dei più celebri tragitti, anzi circuiti, di strada bianca è l’Eroica in Chianti, il percorso di una gara storica per biciclette che si svolge fra il Chianti e le Crete Senesi, per una lunghezza di duecento chilometri, dei quali tre quarti sono, per l’appunto, non asfaltati.
Di recente qualcuno ha avuto l’idea di replicarne l’idea per le motociclette, e da lì ha preso vita una annuale Eroica in Moto.
È da molto che sognavo di calcare le strade dell’Eroica ed un paio di anni fa ero vicino a realizzare l’impresa. In realtà, l’avevo presa sottogamba: trattandosi di un circuito percorso dalle biciclette, mi ero immaginato un giro turistico, quasi una gita fuori porta, e mi ero fidato ad iscrivermi con un boxer BMW stradale, con tanto di passeggero in sella. Per fortuna qual giorno ha fatto brutto tempo e ho rinunciato. Non avevo idea del guaio in cui mi sarei messo.
All’inizio della primavera (del 2017) una serie di circostanze concomitanti mi ha portato infine a vivere quell’avventura. Il primo passo è stato vedere una Triumph Scrambler classica, rossa e bianca (o meglio, rossa e grigia) esposta nella vetrina del concessionario. Corteggiavo da sempre la scrambler, la mitica moto di Steve McQueen, ma quel giorno diventava una questione di adesso o mai più: per stare al passo con il progresso l’azienda inglese aveva messo sul mercato una scrambler rinnovata, con il motore raffreddato ad acqua, impianto frenante con ABS, elettronica, controllo di trazione e tutto il resto. L’avevo anche provata, la nuova scrambler, e trovarmi di fronte al modello classico, derivato dagli anni sessanta, mi confermava la mia impressione: l’originale era più bello.
La seconda condizione è che mi trovavo nel particolare stato d’animo dell’uomo che è appena stato lasciato dalla fidanzata. Non solo la comoda super turistica 1200 cc boxer non pareva servirmi più per viaggi in compagnia, ma soprattutto avevo una forte necessità di una gratificazione emotiva.
Terzo, si stavano raccogliendo le iscrizioni per l’Eroica in Moto, che si sarebbe tenuta di lì a poco. Abbandonare in fretta e furia, senza pensarci troppo, una moto lussuosa per acquistarne una avventurosa e un po’ anacronistica è stato un tutt’uno. Volevo l’esemplare in vetrina e lo volevo subito, per terminare il rodaggio in tempo ed iscrivermi alla “gara” (che, ben inteso, gara non è).
Nei preparativi ho raccolto più notizie che mi riuscisse sul percorso - impresa non facile sulle tradizionali cartine stradali, ma risolta con un libretto per ciclisti ordinato per posta. Uno sforzo inutile, come avrei scoperto sul campo, perché il percorso dell’Eroica è quanto di meglio segnalato con cartelli stradali che si possa immaginare. Possibilità di sbagliar strada non ce n’è, anzi, ce n’è una sola, di cui come vedremo ho prontamente approfittato.
Fra le ricerche messe in campo, c’è stata anche quella di andare a spulciare su YouTube i filmati delle precedenti edizioni. Un’idea determinante: mi sono reso conto che si tratta di un raduno oceanico, con centinaia di motociclette e relativa ressa, tempi di attesa, polvere e sassi che volano. Non sono il tipo di motociclista da motoraduno. Anzi, sono decisamente un loner. Il numero perfetto per un viaggio è per me tre; oltre è una folla. Non sono portato per le gite collettive, sempre troppo lente e dispersive.
L’idea è così diventata fare l’Eroica, ma in indipendenza. Non nel giorno della manifestazione, ma lungo il medesimo percorso. Sono andato in cerca del fine settimana adatto, con previsioni del tempo clementi ed un paio di amici disponibili. A furia di corteggiare gli amici ed i loro impegni, si è fatta estate, fino a che ho preso la decisione di vivere l’avventura in solitaria. Non l’avrei condivisa con altri, ma almeno non l’avrei più rimandata.
Era un giorno assolato di luglio, decisamente caldo, quello che mi ha visto partire dalla pianura del Po alla volta del Chianti fiorentino. Come sempre nessuna autostrada, ma un percorso tortuoso che mi portava a superare l’Appennino a Pontremoli, proseguire lungo la costa, arrivare a Lucca e piegare per Firenze. Che strada di preciso abbia davvero seguito non saprei, perché strada facendo ho prestato orecchio a consigli rubati a baristi e motociclisti con l’accento toscano. Sta di fatto che le ombre si stavano allungando quando sono arrivato ad un bucolico B&B (che poi era la stanza sopra un bar) sperduto nelle colline a quindici chilometri nel nulla dietro Greve in Chianti. Un posto adatto ad un viaggiatore solitario, ma alla prova dei fatti a quasi quaranta chilometri di curve da Gaiole in Chianti, il vero punto di partenza (e di arrivo) del circuito dell’Eroica.
Così al mattino fatidico mi alzo prima che servissero la colazione, per portarmi nel fresco del primo sole verso Gaiole, perdendomi nel tragitto non meno di due volte, gratificato da strade dal fascino medioevale che mi facevano sentire come Brancaleone a cavallo di Aquilante (malo caballo).
Ne ho preso spunto per battezzare la scrambler con il nome di Avventurosa, il cavallo di ferro.
Anziché alle nove, sono di fronte al gallo nero di Gaiole, punto di partenza, dopo le dieci. Sono l’unico motociclista e, a dispetto della mia emozione, nessuno mi degna di uno sguardo. Da parte mia la vivo come un’impresa, ma non mi è dato di condividerla.
Parto lungo lo stesso rettilineo d’asfalto da cui sono giunto. Un cartello sulla sinistra mi indica il percorso, ma mi sforzo di ignorarlo per seguire le indicazioni della mia cartina. Errore: mi sobbarco chilometri di asfalto in più, con annesso competitivo traffico toscano, anziché infilarmi da subito sulla strada bianca.
Morale: date credito ad ogni cartello stradale vi indichi l’Eroica.
Nella prima metà della mattina anelo ad ogni tratto di strada battuta o sassosa, mentre mi dispiaccio degli intermezzi asfaltati. Come si vedrà, con l’allungarsi della giornata, il salire del sole e della temperatura, la fatica nelle braccia e nelle gambe, le cose cambieranno parecchio e dal pomeriggio ogni breve tratto d’asfalto sarà vissuto come una benedizione.
Perché l’Eroica sarà ben un percorso per biciclette, ma evidentemente per ciclisti gagliardi. La strada bianca è divertente, ma faticosa: sul casco (integrale! Altro errore) il sole picchia e sotto si suda. Il fondo stradale non è uniforme, a tratti è una pista battuta sabbiosa, a volte sassosa su cui galleggiare, ma spesso è condito di buche, cunette, sassi, misto, salite, discese, e la scrambler non è una monocilindrica da enduro ma un pezzo di ferro degli anni sessanta, da 250 chili più il pilota. Prendere una curva in discesa significa frenare col posteriore, con la moto che vuole mettersi di traverso e si spera che non si corichi. Quando si incrocia qualcuno (queste strade sono utilizzate per il traffico) bisogna mettere d’accordo traiettoria e fondo stradale, canali e brecciolino.
In tutto il tratto fiorentino, le strade variano da sterrati di periferia, che corrono a fianco dell’abitato, a boschi polverosi (ma almeno freschi) sulle colline. Quando si arriva a Siena e si passa alle magnifiche Crete, un paradiso per la vista, la musica cambia.
Un inciso, di cui prendere nota: è a Siena, arrivati ad incrociare un viale a quattro corsie, che si sbaglia strada. La segnaletica ci indica di seguire il viale verso destra, il che è corretto ed obbligatorio, vista la presenza di uno spartitraffico centrale. Ma solo per girare subito attorno alla rotonda e riprendere il viale in senso opposto (e presto a destra). Sulla rotonda il segnale c’è ma non si vede. Tenetene conto - e ringraziatemi mentalmente. In pratica il viale va attraversato da parte a parte. Ci ho perso qualche chilometro di traffico cittadino.
Giunti alle Crete è come attraversare il deserto. Non c’è nessuno, né biciclette, né moto (non in luglio, almeno), solo una interminabile pista in mezzo ad una campagna assolata colorata di giallo, spesso nascosta alla vista dai rovi e dagli arbusti. A conti fatti, la velocità media non passa i trenta chilometri all’ora, e quindi si parla di molte ore a tener dritto il manubrio. L’avantreno fa il suo dovere, ma quando si incoccia in un sasso troppo largo, o una buca o forse, chissà, un mucchietto di sabbia, gli strappi sono improvvisi e invitano alla prudenza.
Ad un certo punto, ci viene proposto un percorso breve ed uno lungo: il primo basterebbe, ma non rendendomi conto scelgo il secondo. Le salite si fanno interminabili e le discese faticose. Come facciano i ciclisti, non me lo spiego, ma non me lo chiedo più di tanto: fatico abbastanza per conto mio.
Alle due del pomeriggio potrebbero chiedermi una cifra per una fetta di anguria. Lassù qualcuno mi ama, perché quando arrivo all’affascinante paesino di Lucignano d’Asso, all’apparenza deserto, e che ricorda il Pinocchio di Collodi, lascio la strada maestra per cercar cibo e vengo premiato da un’improbabile ristoro gestito da una ragazza asiatica che vende meloni. Uno dei più buoni di cui abbia ricordo.
Si prosegue nel pomeriggio incrociando paesi che si chiamano Radi, Vescovado, Montalcino e poi ancora Ponte d’Arbia, Castelnuovo Berardenga, Radda in Chianti, fino di nuovo a raggiungere Gaiole sul tardi, dopo più di sette ore.
Un’arrivo senza pubblico, banda né cerimonie, per un eroe solitario, stanco ed assetato. Sazio di strade bianche. Datemi dell’asfalto!
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