Ci sono “oggetti” capaci di evocare non solo sensazione e ricordi ma un’intera cultura. Vale anche per le quattro e le due ruote: basti pensare alla Mini, al Maggiolino, alla Dino, al Duetto come a modelli d'oltre oceano come la Ford Mustang o la Cadillac Eldorado, per fare qualche esempio. Uno dei mezzi dotati di un’anima è senz’altro la Triumph Bonneville, la moto di Marlon Brando (quasi), di Fonzie, di Bob Dylan, di Steve McQueen, di Dr. House (e del Dr. Bottazzi). Ho avuto occasione, grazie alla cortesia della concessionaria Due Ruote di Piacenza (che ringrazio), di provarne una, all black, abbastanza a lungo da poterne parlare come se si trattasse della mia moto. La Bonneville, moto vintage aggiornata ai freni a disco e all’iniezione elettronica, ha una personalità magnetica che per strada non manca di attirare gli sguardi. Bella nel classico bicolore, è forse addirittura ancor più bella tutta nera compreso il motore. Essenziale e senza fronzoli, viene consegnata così scarna da non avere neppure la serratura sul tappo del serbatoio, che nel caso va acquistato a parte, portando a tre le chiavi in dotazione comprendendo anche quella del bloccasterzo, posto sul cannotto dalla parte opposta della chiava di accensione. Dettagli che non dispiacciono necessariamente al proprietario - anche se non sarebbe così grave se la Triumph volesse porvi rimedio. Oltre al contachilometri ed al tachimetro, solo il modello T100 (quello con il fregio sul serbatoio) possiede un contagiri, mentre mancano del tutto non dico un computer di bordo, ma neppure un termometro ambientale, un orologio o un contachilometri parziale. Affascinante il soffietto che ricopre le sospensioni anteriori, mentre un particolare stonato è rappresentato dalle frecce e del faro posteriore, che sia pur cromati sono fatti di plastica, con oltretutto un segno di saldatura molto evidente.
La guida di una Bonnie è molto diversa da quella a cui siamo abituati su una moto dei giorni nostri. La Bonnie è più amichevole e agile del previsto, facile da guidare come una bicicletta, ma offre molto meno della esuberante riserva di potenza che fa delle moto di oggi dei proiettili vaganti. Alla guida, dopo aver apprezzato la posizione naturale, bassa ma comoda della sella, ci si rende conto che la guida ideale per questa moto è quella morbida e rotonda, che pur usufruendo dei 68 CV del bicilindrico (una potenza intelligente che non ha bisogno di elettronica per essere gestita ma solo del polso del pilota), non procede a staccate e riprese ma privilegia piuttosto l’eleganza della traiettoria. Lasciar frullare il motore è il modo giusto di guidarla, anche se il motore non si tira indietro nelle accelerate per il sorpasso. L’aria che ci giunge in marcia senza parabrezza (che è comunque un’opzione after market) è tanta e passati i cento chilometri all’ora si comincia ad avvertire lo sforzo alle braccia; l’impressione che si prova a guidare una Bonneville a 90 km/h è la stessa che una GS o una Stelvio offre a 120. Oltre i 110 si fa fatica, ma il motore non impedisce di lanciare la moto, volendo, oltre i limiti concessi dal codice della strada. Su una Bonnie lo stile di guida del pilota si modifica in modo naturale e la velocità media che siamo abituati a tenere cala sensibilmente, tanto che si prende l’abitudine di tener d’occhio anche lo specchietto retrovisore. Ciò non significa che con la Bonnie non si possa fare il giro del mondo, anzi. Ma certo non offre il confort di un enduro stradale o di una gran turismo. In autostrada viene naturale tenere la corsia di destra e dopo un po’ le gambe cominciano a desiderare di essere distese. Ma non è l’autostrada il regno della Bonnie, bensì le curve morbide delle strade di cui va in cerca il mototurista. Cavalcare una Bonneville è un po’ una filosofia di vita: bellissima, non ti offre l’adrenalina delle accelerate metafora dell’orgasmo, ma invece il ritmo del trekker. Perfetta in sostituzione dello scooter, è l’ideale compagna del motociclista che usa la due ruote come compagna quotidiana anche in città e per andare al lavoro. Il punto più debole di tutta la ciclistica sono le sospensioni, rigide ma poco efficaci. Le buche si avvertono (ho voluto provarla sulla disastrata Val Tidone) ma in ogni caso la moto non ne risente procedendo dritta con decisione. Sono casomai il pilota ed il passeggero a soffrirne un po’. Un altro dettaglio un po’ sacrificato sull’ultimo modello è il rombo del motore, che su una classica inglese è irrinunciabile; immagino che sia necessario agire in qualche modo sugli scarichi per ripristinare quello che è il marchio di fabbrica del quattro tempi. Il cambio è preciso e le marce si innestano con un "tac" virile. Si sente un po' la mancanza della sesta marcia: mi sono quasi slogato il piede sinistro da tutte le volte che l'ho cercata.
La Bonneville è una filosofia, non certo interscambiabile con quella dei centauri sportivi ma adatta non solo a chi entra nel mondo motociclistico da questo modello ma anche al “motociclista romantico” di ritorno. Per il motociclista stradale in giacca di pelle le alternative non sono poi tante: la BMW R1200 R Classic, forse meno affascinante ma motocicletta perfetta e moderna, la Moto Guzzi che non c’è (la V7 Classic è sensibilmente più piccola e poco potente), o in modo ancora più radicale la HD Sportster, che però è ben lontana dall’essere amichevole come la piccola Triumph. Chissà, forse la Bonneville aiuta a prendere la frigida vita del XXI secolo in modo più romantico.
P.S.: seguirà qualche racconto di viaggio sulla “mia” (per un po') Bonnie black.
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